Questa è la storia di un uomo che fugge dalla città, dai ritmi frenetici del suo lavoro da assicuratore, da tutto ciò che lo lega a un'attività spesso truffaldina e con fini puramente lucrativi, per ritrovarsi in un piccolo paese non meglio precisato del meridione italiano. Qui trova usanze strambe e anacronistiche, gente che al posto di lavorare coltiva campi e mette in comune il proprio raccolto, scambi che avvengono attraverso il baratto e un'estrema chiusura nei confronti del progresso e della modernità. Quale sarà il destino di quest'uomo, accolto dai suoi connazionali come un vero e proprio straniero? Se siete curiosi, continuate a leggere questa recensione...
Titolo: Storia di un immigrato
Autore: Antonio Caiulo
Editore: Bookabook
RECENSIONE
Costretto a trasferirsi in un paesino sperduto nel meridione d’Italia,
uno scapolo quarantenne, tipico rappresentante della vita metropolitana,
viene a contatto con la realtà contadina culturalmente chiusa di una
cittadella arroccata sulle colline.
Il libro comincia con l'entrata del protagonista in un caffé, l'unico caffè dell'intero paese, e con un'accoglienza piuttosto bizzarra: qui gli abitanti del luogo si riuniscono per ascoltare il lettore, una persona che ha il compito di leggere il giornale per tutti, non prima però di aver eliminato dal quotidiano qualunque forma di pubblicità, mezzo comunicativo di raro potere, che ha la capacità di plasmare e corrompere le menti più fragili. Il protagonista, un uomo di cui non si conosce il nome, si scopre ancora più spaesato e divertito quando, dopo aver legato la bicicletta ad una fontana, le persone gli domandano come mai abbia incatenato l'acqua, un bene pubblico che non deve essere posseduto da nessuno.
Diventa chiaro dunque che l'uomo si trova in una dimensione ben diversa da quella da cui proviene: qui le persone non sono bombardate dalla pubblicità ma la rifuggono, non hanno il tarlo del denaro nella mente ma vivono di raccolto e cose semplici, non concepiscono la proprietà privata perché in paese tutto è di tutti. E ben presto al protagonista questo esempio di autenticità e ritorno alle origini comincia a piacere per davvero:
"Si innamorò dell'idea dell'individuo che a un'età matura rinuncia a tutto per riappropriarsi del proprio essere, dell'aria, del cielo, per studiarne i capricci e su quelli calibrare le proprie fatiche, sulla terra rossa e profumata, che pulsa vita e cambia la sua essenza se imbevuta di pioggia o sfarinata dal calore, bollente o fredda, generatrice di vita e custode della morte; tutto questo aveva affascinato l'uomo dagli scarponcini lucidi che, pensò, con un seme, l'acqua e la terra poteva generare vita, senza studiare, senza specializzazioni, senza perfezionamenti, senza aggiornamenti... senza tutto questo, e soprattutto, senza meeting, breefing, jogging, brunch, lunch, breakfast, dinner, pub, night club, after hour."
Tutto sembra andare per il meglio, quando un giorno, mentre è intento a coltivare le sue piantine ancora molto piccole, il protagonista incappa in una mina antiuomo che lo costringe a rimanere seduto e immobile per diversi giorni. Solo Amadou, un ragazzo dalla pelle scura per nulla amato dall'uomo in pericolo, può salvarlo dal tragico destino imminente, ma tra i due non scorre affatto buon sangue e la situazione di pericolo diventa un susseguirsi di strategie e menzogne, uno scambio di battute in cui il razzismo e la paura del diverso devono cedere il posto alla necessità di sopravvivere.
Nonostante queste valide premesse però, il libro delude amaramente lungo tutto il corso della lettura. In primo luogo, a livello di scrittura non è chiaro in molti passaggi e il fatto che quasi tutti i personaggi non abbiano un nome, non solo non permette al lettore di affezionarsi a nessuno di loro, ma crea molta confusione quando ci sono scambi di battute tra persone dello stesso sesso o periodi complessi con molte subordinate. Nonostante il lessico sia ricercato e alcune descrizioni risultino poetiche e scritte con impegno non indifferente, la storia rimane raccontata in modo superficiale e laconico, poiché l'autore si sofferma molto poco sullo stato d'animo e sui sentimenti dei personaggi, mentre dedica gran parte delle pagine al mero svolgimento dei fatti.
Passando poi al messaggio finale, oltre a trovarlo ahimé scontato e prevedibile, l'ho trovato poco rivoluzionario e in sé ancora un po' retrogrado: il fatto che un uomo bianco, cittadino italiano, decida di aiutare un uomo dalla pelle scura senza permesso di soggiorno, non lo rende un uomo migliore o un eroe della patria, ma semplicemente un uomo che fa il suo dovere. La logica del padrone bianco e del servo nero che viene ribaltata nella scena della mina, non è d'insegnamento per tutti coloro che hanno credenze razziste, è solo il ribaltamento di uno stereotipo che conduce a una situazione opposta ma ugualmente deplorevole: non esistono schiavi e non esistono padroni, proprio perché il genere umano è uno solo e non si differenzia in base al colore della pelle. Inoltre, non è stando in situazioni di pericolo che si impara ad amare il prossimo, perché in quel caso non si tratta di amore e benevolenza, bensì di necessità. L'uomo protagonista del romanzo è proprio un esempio di ignoranza e opportunismo: si avvicina allo straniero solo perché ha la necessità di salvarsi e il gesto finale che dai più sarà interpretato come positivo, comunica soltanto un ulteriore dislivello tra lui, cittadino italiano che ha il potere di salvare i bisognosi, e Amadou, extracomunitario miserabile senza permesso di soggiorno, la cui unica speranza è farsi amico un bianco.
Nonostante questo però, mi sento comunque di dare due stelle, perché riconosco che i presupposti ci sono e che il messaggio dell'autore in fondo non è negativo: il romanzo invita tutti gli italiani a immedesimarsi nel ruolo di "stranieri", a guardare il prossimo come un proprio fratello e a non soffermarsi sul colore della pelle o sul confine della cittadinanza.
Attenzione però: avere la possibilità di aiutare il prossimo non significa essere superiori o più meritevoli! Significa solo essere nati estremamente fortunati, nel luogo e nel tempo giusto, in condizioni di forte agiatezza sociale ed economica.
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